venerdì 30 dicembre 2011

Fine dell'Albo dei pubblicisti?


“Una mattina salì all’undicesimo piano di via Cervantes 55 e chiese di parlarmi. Era fresco di laurea ma covava il sacro fuoco: «Posso collaborare alla Voce della Campania? Voglio fare il giornalista». Non era il primo né fu l'ultimo. Tanti giovani napoletani e campani trovarono in quel quindicinale l'occasione per iniziare questo straordinario mestiere. La selezione era accurata e si faceva sul campo, ma alla mia scrivania si presentarono i migliori che potessero aspirare a questa professione, e tutti, senza padrini né padroni, misero sul tavolo la passione e la bravura, che furono le sole ‘raccomandazioni’ che valsero in quelle stanze. L’elenco sarebbe lungo, ne verrebbe fuori la geografia di un bel pezzo di giornalismo italiano. Ne parlo perché è la seconda cosa che mi frulla nella testa e nel cuore da qualche ora, da quando, angosciato, ho saputo che Peppe D’Avanzo se ne è andato prematuramente, fulminato da un infarto mentre pedalava: io me lo ricordavo giocatore di rugby. Non ci fu storia: lui viaggiava in un altro pianeta e ad un'altra velocità. Gli altri erano bravi, alcuni bravissimi, ma riconoscevano serenamente la sua autorità professionale. Si guadagnava quasi niente, ma ognuno buttava il sangue per realizzare la migliore intervista, la scheda più precisa, l'inchiesta più completa, e l'orologio veniva lasciato fuori dalla porta. Quel giornale fu un'avventura straordinaria, il documento della Campania degli anni Settanta”.
Così Matteo Cosenza, direttore, allora, de La Voce della Campania e, ora, del Quotidiano della Calabria in un commosso ricordo di Peppe D’Avanzo, la cui improvvisa morte ha lungamente riportato anche i miei pensieri in quelle stanze di via Cervantes.
C’ero anch’io, infatti, e, tra l’ultima fase di direzione di Cosenza e la prima di Michele Santoro, ho conosciuto Nello Cozzolino, Angelo Russo, Patrizia Capua, Iaia Caputo, Antonella Bianchi,  Daniela De Crescenzo e tanti altri: alcuni diventati famosi, altri che hanno continuato a lavorare nei giornali, magari in maniera più oscura ma con grande serietà, altri ancora che hanno preso differenti vie.
E’ vero, come dice Cosenza, che si potrebbe scrivere a lungo su quell’esperienza. Ed è vero che il grande Peppe spiccava – e non solo per la sua stazza (il portiere di casa mia si insospettì quando venne un pomeriggio  da me insieme ad Angelo Russo per un articolo a più mani: ‘Signò, qui ci sta un tipo strano coi baffi che dice che deve salire da voi…”). Altre affermazioni di Cosenza sono, invece, meno precise; danno troppo per scontata l’equazione bravura uguale raggiungimento di livelli alti di carriera; sorvolano su aspetti importanti, per esempio sullo stretto rapporto tra quel giornale e la vicinissima via dei Fiorentini, sede del Pci.
Darei per certo che Cosenza non ha mai saputo che facevo parte del gruppo (e che altri/e come me ne facevano parte). Ci ero arrivata perché, da qualche piano sotto, ovvero dalle stanze dell’Unità, mi avevano mandato a dare una mano anche su. In qualche modo una forma di volontariato che si aggiungeva ad altro volontariato. Non ne ebbi dei soldi se non qualche minimo rimborso spese; ho, però, ricevuto una scatolona di lattine di pelati (ne erano arrivate un bel po’ in regalo al giornale). Fu un’esperienza notevole, che mi permise di scrivere anche qualcosa di non indecoroso, soprattutto un’inchiesta in varie puntate sul lavoro delle donne in Campania. E di capire non poche cose su come andava il giornalismo nel Sud d’Italia.


Questo post l’ho scritto lo scorso agosto, come omaggio a Peppe D’Avanzo, ma anche come piccolissimo sasso nell’enorme mare/lago/stagno/ del come si diventa o meno giornalisti.
Lo ripropongo perché da qualche giorno il web pullula di ansie e tensioni rispetto ad una norma che abolisce, dal prossimo agosto, l’albo dei pubblicisti. Albo cui io sono iscritta dal lontano 1979 e da cui ho ricavato tre cose:
-         l’obbligo di pagare, ogni anno, una quota all’Ordine e, per un  po’ di anni, anche al Circolo della Stampa;
-         la possibilità di entrare gratis in qualche Museo;
-         il piacere di firmare, come direttore responsabile, per molti anni e tuttora (quando lo produciamo), Nisida News, giornale dei ragazzi di Nisida, attività naturalmente senza risvolti economici e, per una fase più breve, il giornalino della sezione giovanile di un’associazione di volontariato (gratis, naturalmente).
A proposito: di mestiere, come recitano i miei dati anagrafici, faccio l’insegnante. E alla mia professione devo molto, perché i lunghi anni nel carcere minorile mi hanno insegnato tanto sulla vita. Da ragazza, però, avevo due, diversi, sogni professionali, di cui uno era fare la giornalista.
Sono assolutamente favorevole all’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti, con relativa eliminazione dei super privilegi di pochi e il sostanziale sfruttamento di tanti. Ma, se ho capito bene cosa la norma imporrà, trovo molto triste non poter più collaborare con oltre dieci pezzi l’anno ad un giornale (cosa che negli ultimi tempi ho avuto il piacere di fare).

Con piccole varianti,  e con il titolo Pubblicisti cancellati? Peppe D'Avanzo in via Cervantes m'avrebbe detto: Maria, ma di che stiamo parlando? questo post si trova su Zoomsud - http://www.zoomsud.it/

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