sabato 17 dicembre 2011

Francesco Azzarà, "Reggio Calafrica" e la "buona educazione"


Quand’ero piccola, dalle mie parti, i motticiani erano quello che per decenni sono (stati) in tutta Italia i carabinieri: fonte inesauribile di centinaia e centinaia di storie, motti e prese in giro: soggetti-oggetto permanente di barzellette. Da quest’estate – l’ho scritto tre mesi fa su Zoomsud e l’ho riscritto stamattina –
per tutta Italia, Motta – col suo castello a forma di nave con la prua rivolta alla montagna e la poppa al mare – è il luogo dove è nato Francesco Azzarà.

La sua liberazione è tra le poche belle notizie di questi ultimi tempi. I quattro mesi, dal momento del suo rapimento il 14 agosto ad oggi, sembrano decenni, per i cambiamenti vissuti nel frattempo dal Paese.

Dove l’altro ieri, un presidente di una provincia del Nord ha parlato di “Reggio Calafrica”: espressione che non sarebbe male, per esempio, per titolare qualche bel festival culturale, ma che ha, invece, evidenti sottofondi di irrisione per la Calabria e per l’Africa.

Mi impressiona l’involgarimento crescente del Paese – il web, se è una grande possibilità di far rete nel positivo, evidenzia, promuove, esalta anche gli umori peggiori – freno alla crescita e motivo di debolezza non meno della criminalità organizzata e della crisi economica.

In un frangente storico drammatico – il momento peggiore della nostra storia recente dopo l’ingresso nella seconda guerra mondiale - in cui il Paese, per esistere ancora, ha bisogno di tirar fuori il meglio di sé –– ci servono piccoli, grandi, maestri. E  tanta, tantissima,“buona educazione”.

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