martedì 7 febbraio 2012

Grazie, signor Dickens


Tra il 1965 e il 1966, in otto puntate, l’allora unico canale tv, trasmise uno sceneggiato fedelmente tratto da David Copperfield (regia di Anton Giulio Majano; musiche di Ortolani, costumi di Pizzi; tra gli interpreti Chevalier, Giannini, Guarnieri, Efrikian, Capodaglio). Un’intera generazione di ragazzi – di ceti che per la prima volta, in quegli anni o nei successivi, sarebbero approdati alla scuola media – conobbe così uno dei libri memorabili della storia della letteratura mondiale.

Sul Corriere della Sera, Claudio Magris, riprendendo l’idea regalo del ministro della Cultura inglese – che ha donato ai membri del governo i libri di Dickens nel duecentesimo anniversario della nascita, che cade proprio oggi, 7 febbraio – dice che regalerebbe volentieri David Copperfield a Mario Monti: «David Copperfield non è un romanzo politico; racconta la storia di un ragazzo, delle sue aspirazioni e delle sue umiliazioni, dei suoi affetti, della sua ingenuità, della sua esigenza di felicità, dei suoi studi e delle sue innocenti e necessarie scappatelle, del suo passaggio – ammirato, stupito, incantato, ora doloroso ora giocoso ma sempre appassionato – quale comparsa pur irripetibile e insostituibile nel grande spettacolo del mondo, come diceva Epitteto ringraziando Dio per avergli dato il modo di assistervi e parteciparvi. Una autentica, vera politica si occupa di organizzare una società in cui ragazzi come David Copperfield possano crescere in modo dignitoso e auspicabilmente anche ilare e piacevole. Mi sembra che ad un governo come quello oggi guidato da Mario Monti, nato per cercar di ridare decenza e quel tanto o poco possibile di sicurezza a un Paese che stava perdendo la bussola, possa adattarsi un libro come David Copperfield (…) romanzo assolutamente non politico né ideologico, ma la cui inesauribile poesia è pervasa dal senso che la vita (l’amore, l’amicizia, l’allegria) è essenzialmente il rapporto con gli altri, il modo in cui si vive con gli altri, in quella concreta esistenza quotidiana, in quella comunanza di destino, in quella Polis di cui la politica è – e dovrebbe essere e sembra si possa ora sperare stia tornando a essere – la scienza e la garanzia».

Mi piace la prosa di Magris e trovo divertente la possibile trasposizione in chiave italiana dell’idea regalo del ministro britannico, anche se, nel caso, ci sarebbe un quid da non trascurare: pur con apprezzamenti ad alcune città, Dickens non amava l’Italia (preunitaria). Nel suo tour si fermò a Napoli, decise di non proseguire verso l’estremo Sud, dopo aver scritto all’amico Forster: “ Che cosa non darei perché solo tu potessi vedere i lazzaroni come sono in realtà: meri animali, squallidi, abietti, miserabili, per l’ingrasso dei pidocchi; goffi, viscidi, brutti, cenciosi, avanzi di spaventapasseri!”. E, comunque, sposterei il problema: dai ministri – che Dickens lo conosceranno tutti e in versione originale – ai ragazzini.

Qual è, oggi, lo strumento culturale non solo potente, ma anche efficace (com’era la tv di metà degli anni 60) capace di portare ai ragazzini un’opera come David Copperfied o Oliver Twist ?
Eppure, non conoscerle è una perdita secca: “Dickens – parola di Chesterton, il creatore di padre Brown – è l’unico anello esistente tra la vecchia e la nuova gentilezza, tra la buona volontà del passato e le opere buone del futuro. Egli ha unito la festa del Primo Maggio al Venerdì Santo, e lo ha fatto praticamente da solo”.

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