lunedì 13 febbraio 2012

Per la Grecia


Sono stata una ragazza Magno-greca. Tutti gli azzurri, i verdi, i viola della mia infanzia, il dialetto ch’è stata la mia unica lingua per anni, gli odori e i sapori d’una realtà contadina con piccoli innesti di lavori statali, il senso sacro d’ogni bellezza e sentimento umano, il battito del cuore ad ogni residuo di passato: tutto trovò il suo spazio privilegiato nelle aule di un liceo, la cui frequenza avvertivo come in fondo era: un privilegio. Inchiodata per ore infinite alla scrivania – il poco tempo libero a respirare lo spazio tra le colline e il mare dove l’aria sapeva dell’antico arrivo dei Greci, le ore d’incanto al Museo archeologico reggino – ad apprendere un sogno di bellezza senza pari.

Le terze liceali andavano in Grecia. Per quattro anni, ho studiato felicemente sapendo che sarebbe toccato anche a me. Ma arrivarono i colonnelli e, per gesto di opposizione alla dittatura, il viaggio, quell’anno, non si fece. Concordavo totalmente con questa decisione, ma la sentii come un taglio, in qualche modo la fine, se non della giovinezza, di un eccesso di giovinezza. Una diecina d’anni dopo, al British Museum, avrei inghiottito lacrime di stupore e meraviglia di fronte ai “pezzi” del Partenone, mentre, in sottofondo, la mente si colmava anche delle cicale e degli ulivi e del sole cocente dei resti di Locri…

(Oggi, penso, c’è un solo modo di rispettare il nostro, altissimo, passato, greco - e, pure, magno-greco-: affrontare, seriamente, il presente).


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