sabato 7 aprile 2012

L'uovo fatato di Nunziatina


Da quando, due anni prima, era rimasta vedova, ‘mari Marianna faticava ad addormentarsi. Se ne restava ferma, a letto, per buona parte della notte, le braccia abbandonate e la mente vigile, ad ascoltare il respiro quieto di Nunziatina e quello del mare. Quasi sempre lieve, niente più che un mormorio, una nenia. Ma quando, rabbioso, s’alzava, spingeva le sue onde a frangersi sul muro della casa e le pareva che, da un momento all’altro, potesse essere trascinate al largo come una barca senza nocchiero e senza timone.

Quella notte, a lasciarla sveglia, non era la preoccupazione di come mettere sul tavolo un piatto caldo pure il giorno dopo, ma un calore nuovo del cuore. La fresca moglie del barone giovane, dov’era stata a giornata, a impastare dieci chili di cudduraci, l’aveva congedata, dicendole di tornare il giorno dopo e gli altri ancora, che c’era molto da fare in quella casa. E le aveva riempito il grembiule di fave e piselli, un cuore, un canestro e una bambola con le uova e un pezzetto di cioccolato.

Fave e piselli li avrebbe cotti sul fornello a legna; i cudduraci li aveva nascosti – il cuore, che aveva due uova, l’avrebbero diviso a Pasqua e gli altri due sarebbero stati la loro pasquetta, lì, nella conca delle brucare a giocare con le sabbia. Sul pezzetto di cioccolato aveva una certezza e molti dubbi. La certezza era che ne avrebbe fatto un uovo – le era capitato d’intravvederne uno, poggiato sul comò della marchesa zia, il giorno che la baronessa vecchia l’aveva portata in città a orlare certe lenzuola di un corredo che andava finito di fretta. I dubbi consistevano nelle mille domande senza risposta su come fare.

La soluzione le apparve con lo schiarire del giorno. Sulla cannizza sotto il letto su cui conservava fichi e fichi d’india seccati, c’erano due limoncedri. Scelse quello più regolare, lo lavò, l’asciugò e lo ripose, dentro un canovaccio umido, nella credenza. Quando, sull’imbrunire, tornò dalla baronessa giovane, mandò Nunziatina a portare una delle due cucchie di pane che aveva ricevuto, a ‘mari Cuncettina, moglie, poveretta, di un ubriacone. Poi, sciolto il cioccolato a bagnomaria, ne rivestì il limoncedro; lasciò asciugare, tagliò le due metà ed ebbe appena il tempo di ripulire in giro prima del ritorno della figlia. Le avrebbe chiuse il giorno dopo, con la ‘nticchia di cioccolato, che s’era premurata di conservare.

Dal dormiveglia dell’alba la svegliò il profumo della signora del mare.

Appariva all’improvviso. Dal mare. Bagnata, eppure asciutta. Si muoveva leggera, a piedi nudi, un vestito di veli di seta, ognuno di un colore diverso, sfumature che, a guardarla, perdevano gli occhi nella meraviglia. Poi spariva nel mare, che di tutti quei colori s’increspava, lasciando nell’aria una mistura d’essenze d’agrumi e gelsomini sciolte nel miele.

Rapida, seguendo l’istinto come una necessità inevitabile, Marianna prese le due metà di cioccolato e corse vicino alla signora del mare di cui non conosceva il nome. Signora del miraggio e della visione, Morgana si girò e l’avrebbe incenerita con lo sguardo se non fosse stata intenerita dalla bambina addormentata ad li là della finestra dalle imposte socchiuse. Sorrise, fece un gesto di “andate” con entrambe le mani e sparì.
Quando, a Pasqua, Nunziatina ebbe, col cuddaraci, che già non s’aspettava, l’inimmaginabile uovo di cioccolata, pensò d’aver esaurito le possibili sorprese della vita. Ma fu un attimo. Aprendo l’uovo, al primo crocchiare del cioccolato, ne uscì un vento di luci odorose. Mai s’era visto un simile miraggio che tra cielo e mare si offrì per tutto il giorno ai paesani e anche a tutti i cittadini – le voci trovavano modo di correre anche allora – giunti in carrozza fin lì.

Bambina buona e triste, pronta a piegare il collo alle nerborate della vita, Nunziatina conservò i suoi occhi neri e grandi, ma cominciò a guardare il mondo a colori. E, da allora, non ci fu dolore e dramma che riuscisse a toglierle il regalo della fata: continuare a incantarsi (comunque, nonostante) nell’incantevole della vita.


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