domenica 28 ottobre 2012

Il ponte di Ognissanti (con invito a come passarlo)



Un sorriso, come un tulle rosato sulla seta, le si fissò nello sguardo il giorno in cui si decise la data del matrimonio di Francesco. Tutto le divenne lieto e leggero.

Cinquantenne, Rina insegnava religione in una scuola elementare della periferia reggina. Le colleghe e le giovani madri la consideravano un po’ antica, ma ricorrevano a lei per ogni consiglio e conforto. Con lei ci si sentiva sempre nel tepore d’una cucina con tutti i fornelli accesi.
 
Francesco era il suo unico figlio. Da giovane s’era adeguata alla più forte volontà del marito, cui uno sembrava già troppo, e quando era ormai troppo tardi le era dilagato un cruccio, che per anni le aveva avvelenato il sonno. Francesco, il primo sempre della classe, cresceva troppo timido e isolato, la tendenza ad una sottile malinconia.
 
Improvvisamente, però, l’ultimo anno del Campanella, aveva cominciato a frequentare una ragazza di qualche anno più piccola. Figlia di un alto funzionario statale da poco trasferito in città, Claudia era carina, gentile e sveglia e Rina l’accolse a casa col cuore felice di chi intravvede il proprio destino procedere, nonostante tutto, ad un pieno e positivo compimento.
 
Con una miriade di piccole attenzioni – tutta la sua intelligenza ed esperienza di vita convergenti ad un unico obiettivo – stese sulla ragazza un’impalpabile rete d’acciaio, facendone un’altra figlia. La riempiva di regali – un oggetto d’oro, una pietra preziosa, un monile griffato ad ogni occasione; la coinvolgeva nelle sue attese d’una brillante carriera di Francesco; la portava con se a scegliere regali; le chiedeva consigli di vestiti e di trucchi.
 
Francesco si laureò nel più breve tempo possibile ed ebbe la fortuna, grazie al discreto appoggio del padre di Claudia, di trovare rapidamente lavoro. La data delle nozze venne decisa il giorno stesso della laurea di lei.
 
Il pranzo della domenica – a cui Claudia arrivava con i dolci della pasticceria Mimosa o, per maggiore felicità di Rina, con una torta fatta con le sue proprie mani – divenne una riunione organizzativa della cerimonia, puntigliosa in ogni particolare. Fiorirono quindi nuovi impegni per Rina e Claudia, cui si aggiunse la madre di lei, fino ad allora rimasta come di attesa di vedere come andasse a finire.
 
Quando Claudia mostrò impercettibili segnali di stanchezza, piccole inquietudini, attimi di nervosismo, Rina spinse “i miei ragazzi” a prendersi qualche giorno di vacanza, approfittando del ponte di Ognissanti. Questa sorta di viaggio di nozze prima della firma del registro di matrimonio – che in altri tempi le sarebbe sembrato uno strappo insopportabile all’ordine in cui necessariamente contenere la confusione della vita – diventava un dettaglio trascurabile ora che la meta era vicina. Ci sarebbero stati presto nipoti: che lei avrebbe allevato, lasciando a Claudia intatta la sua gioventù.
 
La meta scelta dai “miei ragazzi” fu Barcellona e Rina regalò a Claudia una busta con, interi, i suoi due ultimi stipendi: l’ultimo regalo in qualità da fidanzata, prima della sorpresa che l’aspettava la mattina delle nozze. Dalla Spagna i quasi sposi inviarono messaggi felici. Pareva che il cellulare di Rina dovesse esplodere da un momento all’altro, incapace di contenere tanto giovanile, innamorato entusiasmo.
Con appena qualche minuto di ritardo, l’aereo atterrò al Tito Minniti in quell’ora preziosa prima del tramonto in cui il cielo reggino si pennella di tutte le sfumature del rosa. Claudia era rilassata, luminosa e sorridente. Sarà bellissima con l’abito bianco, pensò Rina, mentre col marito la accompagnavano a casa: il tempo di rinfrescarsi, si sarebbero rivisti a cena.
 
Quando un’ora dopo, Rina vide il figlio rabbuiarsi alla lettura di un sms pensò a qualche problema di lavoro. Ma era la secca, irrevocabile, fine del fidanzamento. Claudia diceva che aveva un altro, l’avrebbe sposato tra due mesi. Rina ne fu stordita. E non capì più nulla, se non che toccava a lei disdire la chiesa. E il fioraio. E la sala. E il pranzo. E le bomboniere. E chissà quant’altro.
 
 
 
Per chi sta da quelle parti durante il ponte di Ognissanti un bell' appuntamento nel nome di  Gerhard Rohlfs, che così tanto ci ha amato, dedicando una straordinaria attenzione alla nostra lingua (alle nostre lingue):
 
« A voi fieri calabresi
che accoglieste ospitali me straniero
nelle ricerche e indagini
infaticabilmente cooperando
alla raccolta di questi materiali
dedico questo libro che chiude nelle pagine
il tesoro di vita
del vostro nobile linguaggio »
 
 
 

Nessun commento:

Posta un commento