lunedì 6 maggio 2013

Oriana Fallaci e l'olivarella del turco




Il cappello di ciliegie (è scritto così, volutamente senza adeguarsi alla regola che vorrebbe ciliege) è stato pubblicato, postumo, nel 2008. Lo sto leggendo solo ora e, mentre seguo le vicende dei suoi “arcavoli” e “arcavole” non posso non chiedermi se non sia il caso di collocare Oriana Fallaci, qualunque cosa si pensi di lei e delle sue idee, se non al primo, almeno nei primissimi posti del pantheon ideale di autrici italiane del 900.

Ricercando i fili delle storie personali che, intrecciandosi a quelle della storia, hanno portato alla sua nascita e, quindi, alla sua personale storia, la Fallaci restituisce, con stile potente, formidabili personaggi femminili. Un monumento, vivo, di parole: magnifico.

Ma non è su questo che intendo, adesso, soffermarmi, bensì sull’inizio del secondo capitolo. Che racconta dei pirati sulle coste toscane.

Ho letto anche libri nostrani sull’argomento, ma mai uno che raccontasse, con tanta plastica evidenza, come se ci si fosse dentro proprio adesso – concretezza dei fatti e visceralità delle emozioni – ciò che per secoli hanno vissuto le coste calabresi. Eppure, insieme alla violenza della natura e, in particolare, quella dei ripetuti terremoti, le costanti occupazioni da parte di svariate popolazioni e, in specie, le secolari razzie di arabi, turchi e pirati non sono, forse, tra gli elementi fondanti del nostro essere diventati come siamo? Capaci, tanto per fare un esempio, di resistere ad ogni evento, eppure quasi preventivamente, rassegnati (magari solo finché restiamo fisicamente o anche solo mentalmente all’interno dei confini della nostra terra) ai colpi del destino e della storia?

L’epoca dei Turchi, in Calabria, è stato il XVI secolo. Nel 1511 saccheggiarono Reggio, nel 1524 attaccarono Scilla, Cetraro, San Lucido, Cirella. Nel 1534, dopo aver conquistato Tunisi, l’imperatore Carlo V visitò molti paesi della Calabria, ma le incursioni ripresero (Kahi’r-ed-din il Barbarossa nel 1545; Mustafà nel 1550; Dragut nel 1565), spesso guidate da rinnegati, ovvero da cristiani diventati capi corsari. Scrive Francesco Barone: “Come prototipo di calabrese transfuga nelle file turche è rimasto il celebre avventuriero Occhialì, nato a Castella nel 1520 e di li portato via dai Turchi nel loro assalto del 1536. Venduto schiavo al Corsaro Giafer di Costantinopoli, dopo di aver rinnegata le fede cristiana e accettata quella musulmana, prese il nome di Alì e l’incarico di capo dei giannizzeri, che gli fu conferito per meriti pirateschi. Il suo coraggio di spericolato pirata gli permise di fare una impensata grande carriera ammiraglia della flotta ottomana, e, dopo di aver partecipato, alle imprese turche a Napoli (1563), a Malta, ad Algeri e in molti altri mari, nel 1571, prese parte anche alla battaglia di Lepanto. Egli mori nel 1595, a Costantinopoli, e dispose la sua sepoltura nella maestosa Moschea da lui fatta costruire sulla collina Top-Hana e, di li ancora oggi domina il mare del Bosforo, base di partenza per tutte le sue imprese marinare”.

A scuola, quand’ero ragazzina, m’avevano fatto capire (o io avevo capito) che, dopo la battaglia di Lepanto, (7 ottobre 1571) i turchi, quelli dell’ “armi/all’armi… ‘rruvaru alla marina” erano stati definitivamente respinti.

Eppure, i bisnonni e le bisnonne dei miei nonni – nel Settecento avanzato – li avevano ben (o mal, che si voglia) conosciuti. E, nel Settecento, in Toscana, li ritrova Oriana, e ricostruisce la loro vicenda che si intreccia a quella della futura famiglia Fallaci.

Di cappelli di ciliege me ne ricordo tanti nella mia infanzia: soprattutto, la mia paglia dai bei nastri dai intrecciare sotto il mento con quel piccolo bouquet di frutti che sporgevano sulla falda di sinistra.

Ma la storia, qui, dovrebbe cominciare, piuttosto, ‘da luvareddha du turco. Già l’olivo sempre bambino – anzi, bambina, ché gli alberi, per noi, sono di genere femminile – che continua a essere lì da qualche parte, sulla curva che, lasciandosi da un lato il mare, s’inerpica, tra fichi d’india, rosmarino e ginestre, verso l’ultimo riposo dei miei avi.

Pubblicato su Zoomsud con il titolo Il cappello di ciliegie e l'olivo del turco http://www.zoomsud.it/commenti/51915-il-cappello-di-ciliegie-e-lolivo-del-turco.html

Nella foto, Pellaro (RC) vista dal cimitero

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