lunedì 3 giugno 2013

Le scelte della Storia e le modifiche della Costituzione






1.Amo chi, soprattutto in condizioni difficili, quando la sua storia personale interseca la Storia, fa la scelta giusta. Magari a distanza di secoli, il suo gesto mi commuove, il mio cuore batte per lui/lei.
La cosa che mi colpisce di più è che abbiano fatto quella scelta quando non era per niente chiaro come la Storia sarebbe andata avanti: che, insomma, la loro azione sarebbe entrata tra quelle, vincenti o meno al momento, che la Storia avrebbe valutato come “giuste”.

Scegliere “al passato” è facile; scegliere “al presente” lo è meno: in certi casi bisogna fare proprio un salto conoscitivo-emozionale per lanciarsi dalle idee comunemente accettate e/o sostenute nel proprio humus sociale e culturale a quelle che consentiranno all’umanità di diventare un pizzico più umana, alla società di essere una ‘nticchia più giusta.

Insomma, questo per dirmi (dire a me stessa), nel presente, che le scelte “storiche” che mi trovassi a fare, non sono mai neutre: hanno un peso e dovrei provare ad azzeccarle.


2. Amo la Costituzione. Soprattutto certi articoli. Il terzo, per esempio, mi sembra un capolavoro. Ci dedico, da insegnante, molto più tempo e spazio di quello che i programmi prevedrebbero. Non dubito che vadano fatti degli assestamenti (abbiamo troppi parlamentari, due camere che si ripetono, o le province o le regioni sono di troppo), ma certi discorsi sull’argomento mi procurano un dolore anche fisico. Modificare un pezzo della Costituzione è lavoro di menti oneste ed equilibrate, capaci di guardare nel tempo lungo, sorde agli interessi immediati di questa o di quella forza politica: soggette ad un unico interesse: servire l’Italia.


3. Seguendo questi due pensieri il 2 giugno ho scritto per Zoomsud questo pezzo: Chissà se, il 2 giugno del 46, avrei votato per la Repubblica http://www.zoomsud.it/commenti/53389-chissa-se-il-2-giugno-del-46-avrei-votato-per-la-repubblica.html

Avrei votato Repubblica se, al Referendum del 2 giugno 1946 (quando le donne hanno votato per la prima volta nella nostra storia, avessi avuto 21 anni?

Naturalmente, non lo so. Ma le probabilità sono più no che sì. Perché, se fossi nata intorno al 1925, in una famiglia simile a quelle dei miei futuri genitori, non avrei avute molte possibilità di frequentare oltre le elementari: perché i piccoli contadini non andavano a scuola e, tantomeno, le piccole contadine. Insomma, nel mio piccolo mondo – pur con l’esperienza della guerra (i fuochi della battaglia di punta Stilo intravisti anche dalla casa dei miei nonni, la miseria, i bombardamenti, e gli sfollati che, da Cassino, arrivavano fin lì) – non so se avrei avuto strumenti sufficienti per scegliere la “Res - pubblica”, la democrazia degli uguali, rispetto alla consuetudine di una Monarchia che, sempre per i miei nonni, era (soltanto) il re Vittorio Emanuele che salutava i soldati da qualche parte sul Carso e, soprattutto, la regina Elena, sinceramente commossa, che abbracciava i piccoli orfani del terremoto del 1908.

Per questo, sono particolarmente grata a chi, allora – e particolarmente alle donne calabresi delle fasce più povere e meno acculturate – che hanno avuto il coraggio di scegliere la Repubblica. E, con la Repubblica, una Costituzione che – nonostante tutti i limiti di attuazione – ci ha aperto più possibilità di futuro di quante, tutti insieme, da Trento a Siracusa, da Imperia ad Ancona, da Lecce a Campobasso, da Aosta a Porto Torres, da Reggio Calabria a Reggio Emilia, ne avessimo mai avute.
Oggi, si discute di cambiamenti alla Costituzione. Il tempo ha logorato alcuni meccanismi, si tratta di allargare alcune stanze, di restringere dei corridoi. Come per l’ammodernamento di una casa molto cara – quella delle memorie e degli affetti, quella senza cui niente di ciò che in noi è bello e buono potrebbe essere – bisogna porre attenzione ai pilastri. L’assestamento sia funzionale e lieve. Il giusto necessario. Il resto lasciamolo com’è. Anzi, c'è ancora tanto che dalla Carta bisogna far diventare Realtà.

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