venerdì 20 dicembre 2013

Il racconto di Natale del mandorlo centenario

 
L'albero di Natale davanti al teatro Cilea di RC

Nessuno mi ha festeggiato, ma ho compiuto cento anni. Sono l’unico rimasto dei miei fratelli e sorelle. Sono stato il primo piantato da don Giovanni. Allora c’era una sola lenza fatta a giardino, tutto era ancora seccagno e la sera, quando scendeva il buio, per non aver paura, ci raccontavamo le storie, io, i fichi d’india in siepe che facevano da limite con la proprietà di ‘mpari Cola e gli ulivi che stavano più in alto. Poi don Giovanni alzò armacere, tolse le pietre, zappò e piantò tutta questa terra a mandorli. 

I mandorli giovani cercavano il primo soffio del vento per smuovere le foglie in segno di saluto. Mi nominarono capo del campo e passammo anni faticosi e lieti. Ci riempivamo di petali bianchi già da gennaio e ci caricavamo di frutti e anche i bastoni non ci sembravano che carezze. Perché chi raccoglieva le mandorle, nel calore di luglio, si spaccava la schiena ma era contento e ci guardava con gratitudine.

Poi non fu più così. Don Giovanni diventò troppo vecchio. Veniva qualcuno dei figli, diceva: “E’ troppa fatica e poca resa”. Tagliarono i mandorli – ne lasciarono solo tre: “Giusto per i petrali” – e piantarono bergamotti.

Io piansi i miei fratelli giovani, ma restai il capo del campo perché i bergamotti dissero ch’era giusto così. L’odore della zagara ogni primavera mi dava linfa e, nonostante l’avanzare del tempo, continuavo a fare mandorle. Poche, ma nessuno se ne importava più - neanche di tagliarmi via.
Poi, i figli furono sostituiti dai nipoti. Vennero, dissero: “E’ troppa fatica e poca resa” e tagliarono anche i bergamotti. Ne hanno lasciato solo due, ma stanno sulle lenze più basse, se non alzano la voce non li sento, che le mie orecchie sono indurite.

All’inizio di quest’anno è venuta una bambina. Bionda, con gli occhi verdi. Dev’essere figlia di uno di questi nipoti. Con lei c’era la nonna: “Piantiamolo qua” e volle messo accanto a me un albero che, da queste parti, non avevo visto mai.

Mi sembrò, quando il sole scese al li là dello stretto, di sentirlo piangere. Fui cauto a fare domande, ma non aspettava altro che poter dire di sé. Si chiamava: abete. Era cresciuto in un vivaio e l’avevano venduto alla madre della bambina, che l’aveva portato a casa e agghindato a festa. L’avevano riempito di nastri rossi e palle colorate e di luci a intermittenza che gli facevano il solletico, ed era bello vedere la bambina battere le mani contenta. Poi gli avevamo messo sotto tante scatole e scatolini e una notte, che a casa c’era più gente del solito, le avevano prese e aperte e sembravano tutti felici.

Che bella sarebbe stata la sua vita in quella casa, aveva pensato l’abete, ma, pochi giorni dopo, l’avevano spogliato di tutto, la signora che l’aveva comprato aveva detto: “Che strano, non è morto, ora che ne facciamo?” e, dopo un po’, s’era risposta da sola: “Ma, proviamo a trapiantarlo in giardino, chissà, magari lo possiamo riutilizzare il prossimo anno”.

Per qualche mese, ogni giorno l’abete mi chiedeva: “Che dici, è passato un anno?”, poi ha smesso di rinvangare il passato. È diventato amico dei due bergamotti, degli altri due mandorli, dell’unico pesco e del pero e anche del pruno, dei fichi d’india e dell’uva fragola. È affettuoso e gentile.

“Hai sentito quei due che passavano là sotto, per strada? – mi ha detto ieri – Non deve mancare molto al Natale. Chissà cosa mi succederà”.

Non aveva finito di dirlo che è apparsa la bambina. S’era fatta alta e le forme annunciavano già una giovinezza tenera e forte. Aveva con sé due grandi buste di plastica, e una piccola scala pieghevole.
Tolse nastri d’argento e d’oro, rossi e blu e ricoprì l’abete fino quasi a nasconderlo, poi scese due lenze e rivestì di festoni il bergamotto e, veloce, tornò su. Sui miei rami spogli ha messo grandi fiocchi a quadri e a pois e, in alto ha legato con rafia color tronco una grande stella argentata. Mi sento un po’ ridicolo e mi prendo io stesso in giro, parlando con l’abete, per non mettermi a piangere di commozione.

Non me l’aspettavo che dicesse: “Nonna, io non capisco perché ognuno, nel mondo, non addobbi per Natale  l'albero, quello che rappresenta la sua storia, il suo cuore.”


Pubblicato su Zoomsud  http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/61506-quando-il-mandorlo-divenne-albero-di-natale.html


Nessun commento:

Posta un commento