venerdì 24 gennaio 2014

Parole. Troppe o troppo poche







Libri, perché non si legge. Sull’argomento sono intervenuta due volte nelle ultime settimane su Zoomsud:.



Tra le tante cose che potrei aggiungere, mi fermo a due osservazioni.

La prima è che, fermo restando che la lettura (meglio: la buona lettura) va promossa con iniziative intelligenti, leggere è un fatto quasi intimo: una di quelle abitudini “personali” che vanno singolarmente scelte, apprezzate, fatte proprie.

La seconda è che abitiamo un tempo troppo occupato a scrivere per poter leggere. Che si scriva (e, in qualche modo, oggi scrivono in tantissimi, sui social) è una gran bella cosa. Che si riempiano file o cassetti di racconti, romanzi e poesie è magnifico. Il guaio, spesso, è che quei file e quei cassetti (poetici, in particolare)… vengano stampati e/o messi in rete.

Naturalmente, poiché anch’io scrivo cose che pubblico, sono tra le persone tacciabili di pubblicare testi che non valgono la stampa o la messa in rete. Lo so. Ma non posso, ugualmente, non constatare che troppo spesso novità librarie salutate come capolavori assoluti o giù di lì sono ben lontane dal meritare tanta enfasi.

Sono poi intervenuta, con alcuni rilievi critici su un articolo di Mimmo Gangemi,  intitolato La Calabria e gli untori, http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/62667-caro-mimmo-gangemi-quella-frase-non-la-vorrei-mai-usata.html. Lo stesso giorno sono stati scoperti a  Cassano Ionio tre corpi carbonizzati, tra cui quello di un bambino di tre anni e alcune persone che avevano qualche ora prima apprezzato, su fb, il mio intervento, hanno espresso (molti in privato, qualcuno in pubblico) la loro difficoltà a condividerlo sotto la spinta emotiva di un tale orrore.

Sul piccolo, familiarmente chiamato Cocò  ho scritto questi due pezzi: http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/62786-perche-sopravviva-il-sorriso-di-coco.html


Mi ha molto colpito che, sulla vicenda, il dibattito – ben scarso rispetto alla gravità della tragedia – si sia concentrato su due aspetti: l’espressione della (giusta, sacrosanta) indignazione per l’uccisione del bambino e il cambiamento o meno della ‘ndrangheta tra un (supposto) passato “onorevole” e un presente “senza onore”. Senza, cioè, toccare a sufficienza la problematica (così complessa) dei bambini cui tocca in sorte di crescere con genitori in galera.

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