lunedì 10 marzo 2014

Flannery O' Connor non lo sapeva. Ma anche noi alleviamo pavoni





Flannery O’Connor – autrice riconosciuta tra le voci più autentiche e geniali della letteratura americana del Novecento – allevava pavoni. “Ho intenzione – scrisse in una lettera – di diventare l’Autorità Mondiale sui Pavoni, e spero che una volta o l’altra mi offrano una cattedra alla Facoltà di Pollamologia”.

Benché non le mancassero certo le parole per raccontare idee e sentimenti, sul perché allevasse pavoni rispondeva: “Non lo so”. Ma aggiungeva che, di fronte a loro, si teneva “in una reverente soggezione” perché “dove c’è un pavone c’è anche una mappa dell’universo”.

Benché li incontri spesso – tutti impettiti – che se ne vanno per i giardinetti, insieme a galline e a capre, a cercare qualcosa da mettere in pancia, l’ultima cosa che mi sarei aspettata è di trovarmeli, stamattina,… in aula.

“Reverente” non credo sia, nel mio caso, l’aggettivo più giusto. Meglio un termine che esprima un vago senso d'inquietudine, una preferenza di distanza. Ma il sostantivo sì. Provo un senso di “soggezione”.

Che in essi ci sia una mappa dell’universo – beh, una mappa la si può trovare in ogni essere creato, roccia, fiore, animale che si voglia.

Ma potrei aggiungere, che in quella loro presenza proprio (anche se, al momento, non l'ho trovata per niente gradevole) un po’ di mappa dell’isola c'è. Eccome.


Isola di capre, cantava Omero.

Isola dei conigli, scriveva Boccaccio.

Isola dei gabbiani, abbiamo detto noi qualche anno fa, collegandola ad un libro di Astrid Lindgren.

Chissà, magari ci occuperemo pure della O’ Connor, visto che anche da noi si allevano pavoni.

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