giovedì 1 maggio 2014

Ma tutti i libri vanno bene a scuola?






Mi sembra molto interessante quanto scritto da Mila Spicola sulla vicenda dei due docenti denunciati per aver inserito tra i libri consigliati un testo centrato su una famiglia gay (http://laricreazionenonaspetta.comunita.unita.it/2014/04/29/genitori_denunciateci-tutti/)

Soprattutto, sono d’accordo su due punti: sul rapporto, tutt’altro che lineare, tra «l’educazione a scuola e il suo legame con la libertà educativa delle famiglie» e sul fatto che il punto non è “la libertà di educare, ma l’educazione alla libertà”: «Qualunque sia la propria convinzione, visto che non voglio obbligare nessuno ad avere le mie convinzioni, anche se la Costituzione obbligo lo è, il pensiero e la cultura devono essere liberi. E anche l’insegnamento. Esattamente per il cavallo morto di cui sopra: un paese si fonda su valori comuni, anche quando tanto comuni non sono. E dunque è bene, sosteniamo la maggior parte di noi docenti, almeno quelli della Scuola Statale, che l’insegnamento sia quanto più libero, plurale e inclusivo possibile, perché poi, ciascuna mente e ciascuna coscienza possa scegliere, anche questo liberamente, come formare la propria opinione. E tanto più valida sarà quanto più liberamente sarà presa. Non si è liberi senza conoscenza, anche se questo principio inizia a vacillare. Il pensiero deve essere libero di conoscere, di sapere, di approfondire, di valutare in sacrosanta autonomia, ciò che accade ed esiste. Il bene e il male, al di là del bene o del male. E ciò che è bene o male, nei temi eticamente sensibili, non può essere deciso in assenza di conoscenza, o in regime di “monopolio”. La qualità di una democrazia discende da tutto ciò, non solo la vita dei singoli, per questo non è tema individuale o familiare ma collettivo».

Dice la Spicola: «Attenzione, nulla ho detto circa la qualità eventuale del libro sotto accusa e nemmeno del motivo specifico per cui è stato criticato. Non è sul valore narrativo dello scritto che voglio attardarmi, bensì sulla libertà della conoscenza, sulla necessità della libertà».

Su questo punto la mia opinione è che, se la denuncia ha fornito immeritata pubblicità gratuita ad uno specifico libro (mentre nulla sappiamo degli altri venti in elenco nello stesso progetto) – resta comunque, in generale, il problema di ciò che, in classe, viene proposto ai ragazzi.

Un conto è “il canone” – già passato al vaglio della storia, della critica, entrato, anche inconsapevolmente, nella cultura collettiva – un conto è la produzione attuale.

È un problema che sento forte, anche perché provo a far incontrare, a Nisida, autori e ragazzi e, tenuto conto di alcune limitazioni oggettive (per esempio autori che abitino in città o, comunque, nei dintorni), provo a far interloquire con i ragazzi scrittori diversi per visione della vita, sensibilità personali e ideologiche, differenti modalità di scrittura. Ma, se molti dei loro testi vengono posti alla liberta disponibilità degli allievi, di alcuni specifici, per particolarità di tematica, a mio parere non pertinente all’età, alle problematiche, alla specifica condizione dei miei ragazzi, non mi sembrerebbe opportuno proporne io stessa la lettura.

Se la cultura è capacità critica, lavoro lungo e faticoso per saper distinguere nelle varie voci del mondo, la libertà di scegliere non si impara anche grazie a una guida sensibile e intelligente che sappia che neppure i libri sono tutti ugualmente buoni e belli (anzi ce ne sono di pessimi, di brutti, di inutili…)?

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