lunedì 7 luglio 2014

L'inchino e gli inchini



 
Immagine dal video girato da Il giornale della Piana

Il termine, l’avevo lasciato alla scuola elementare, se non all’asilo. Dove me l’avevano insegnato a fare, l’inchino. Per la madre superiora, per il vescovo in visita. Era un gesto gentile, che, più che omaggiare l’autorità del caso, pareva perfetto per dare un’idea della delicatezza, della grazia, della bellezza delle bambine che piegavano armoniosamente le ginocchia e allargavano le vestine con le mani ad arco come nello sbocciare di un fiore.

Poi, per decenni, è stato un termine che non ho più sentito.

Fino al funesto inchino della Concordia.

E al blasfemo inchino di Oppido.

Che non mi pare l’unico in Calabria.

È tempo di chiudere con le processioni e i cosiddetti festeggiamenti civili delle feste religiose: le luminarie, i cantanti, i giochi di fuoco nella notte, tutto un luna park senza senso.

Chi vuole adorare Dio e onorare i santi ha altre strade: più silenziose, più sobrie, magari più nascoste, ma più luminose.

Gli inchini (e sobri) restino solo un gesto armonioso delle ginnaste e delle danzatrici.

Nessun commento:

Posta un commento