giovedì 12 marzo 2015

Il diritto e il rovescio. Considerazioni sulla famiglia naturale e dintorni





L’amministrazione comunale reggina sta in una centrifuga di polemiche perché qualche giorno fa è stata approvata, quasi all’unanimità, una mozione presentata da un consigliere di minoranza che chiede la difesa della “famiglia naturale” e una giornata che la celebri.

Su fb, ho letto, ieri, un susseguirsi di proteste, che vanno dall’accusa di aver riportato Reggio al Medioevo (tra parentesi: non sarebbe ora di evitare questo costante riferimento al Medioevo come epoca buia e peggio, essendo stato, il Medioevo, come sa ogni storico decente, insieme a cose pessime, una grandissima epoca?) a quella d'una vittoria di fascisti, retrogradi, traditori del rinnovamento ecc. ecc.

Non ho intenzione di intervenire direttamente sul senso politico e i relativi testi e sottotesti di quanto avvenuto, ma traggo spunto da questo fatto per alcune considerazioni.

1.      La nostra Costituzione – che appena qualche anno fa, almeno per la sinistra, era “la più bella del mondo” – evidentemente è da rottamare, non solo per quanto riguarda il bicameralismo perfetto, ma anche lì dove (art.29 e seguenti), recita che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.» Dicendo, con ciò, che: a) la famiglia è realtà che precede l’organizzazione statuale e che essa è una realtà legata alla “natura” dell’uomo (la natura dell’uomo, ovvero la sua essenza, ciò che lo rende diverso dal resto del “regno animale”, il suo essere, insieme, corpo-e mente, dimensione fisica e dimensione culturale); b) la famiglia si struttura intorno ad un patto matrimoniale; c)  il matrimonio è faccenda di un uomo e di una donna (quest’ultimo aspetto non è definito in maniera esplicita, eppure è indubbio, perché nessuno, ma proprio nessuno dei padri e delle madri costituenti ha mai avuto qualche dubbio in proposito).

2.      La Costituzione – per quanto bella (personalmente, la considero uno dei “miracoli” del nostro paese, per come equilibra in unità le culture che hanno formato l’Italia) non è certo il Vangelo. Insomma, il suo verbo può essere modificato senza, necessariamente, cadere nell’eresia. Ma, al momento, la Costituzione dice questo (con buona pace dei sindaci che istituiscono i registri delle unioni civili o trascrivono le unioni omosessuali formalizzate all’estero).

3.      Ma c’è qualcosa in più, qualcosa che va oltre la legge e attiene al modo in cui le persone guardano se stesse, la loro vita: insomma, la cultura. E la cultura del nostro tempo tende a portare a completa codificazione, a rendere norma e legge il lungo processo di destrutturazione sociale iniziato alla fine degli anni sessanta. E punta, perciò, non a riconoscere i diritti civili (sacrosanti) degli omosessuali, ma, sostanzialmente, a negare che esista, insieme a tante possibili relazioni affettive, un solo nucleo fondante il matrimonio: quello costituito da un uomo e una donna, che, potenzialmente, possono dar vita a figli (matrimonio uguale a munus mater, compito della madre).

4.      Se essere in sintonia col proprio tempo dà una certa sicurezza, fa sentire nelle schiere dei forti e dei giusti, direbbe Pasolini “di quelli che si adempiono”, non sempre l’adesione allo spirito del proprio tempo è cosa giusta e bella (la storia docet, o potrebbe farlo per chi ne tenga conto). Non sempre apre a nuove primavere, talora porta a nuovi inverni.

5.      Fa parte dello spirito del nostro tempo, l’accumulazione di diritti. Tra cui il diritto al matrimonio omosessuale, il diritto assoluto ai figli (da cui, fecondazione eterologa e utero in affitto mascherato con più miti espressioni) e il diritto all’aborto, su cui si è favorevolmente pronunciata l’Europa qualche giorno invitando gli stati membri a “favorirne l’accesso”.

6.      Il “diritto” all’aborto dovrebbe essere espressione indigesta un po’ a tutti e, principalmente, alle donne. Che dovrebbero (voler) essere in condizioni di decidere se dare o meno la vita prima, senza passare per un gesto che, comunque lo si giri, attiene alla morte. E che, considerando l’aborto come un loro diritto, accrescono la deresponsabilizzazione maschile nei confronti della vita. Sono convinta che esistano situazioni in cui l’aborto può configurarsi in modo non dissimile dalla legittima difesa. Ovvero qualcosa che, pur restando negativo in sé, non è umanamente evitabile (o lo è solo a santi e dintorni, che non è la normale condizione umana). Ma da qui a dargli la patente di “diritto umano” ce ne dovrebbe correre.

7.      Quando ero piccola, lavoro e maternità venivano considerate due realtà entrambe faticose (cariche di sudore e /o di lacrime) e, nel contempo, entrambe ammirevoli, in quanto costruttrici di umanità (nel privato e nel pubblico). C’era, in questo, forse, una certa reminiscenza biblica: la doppia maledizione posta a causa della colpa originale, il lavoro col sudore della fronte per l’uomo e il partorire con dolore per la donna, che diventavano, tutte e due, elementi di realizzazione/santificazione. Quando sono diventata più grande, il lavoro era sempre più considerato un elemento di realizzazione (per l’uomo) e la maternità un limite alla realizzazione (della donna), nonché una limitazione alla vita di coppia, e alle magnifiche sorti e progressive dell’umanità. Col tempo, il lavoro è diventato il valore supremo, e la maternità è diventata uno degli snodi più schizofrenici del presente. In pochi decenni, si è passati dalla donna considerata “giusta” in quanto solo madre alla donna che deve quasi giustificarsi di essere, oltre che lavoratrice, anche madre

8.      Per tornare ai diritti che vanno attualmente per la maggiore (o, per essere precisi, i diritti che vengono sempre più posti come assolutamente necessari per essere adeguatamente moderni) non mancano quelli che si riferiscono agli Standard europei per l’educazione sessuale, per bambini in età di asilo. Penso che, a leggerli, dovrebbe venire più di un serio motivo di perplessità.

9.      Tutta l’Europa (e l’Occidente in genere) è attualmente percorso da questo “vento dei diritti”, che ha già introdotto molte modifiche legislative e altre ne introdurrà, nel breve e medio termine, nell’ambito di quanto detto sopra. Insomma, la maggioranza pare orientarsi, più o meno convintamente, più o meno indifferente, secondo l'aria che tira. Io voglio mantenere il mio diritto a pensarla – e a dirla – secondo coscienza. Anche a rischio di ritrovarmi, per molti, medioevale.

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