venerdì 22 maggio 2015

Le rose di Ingegnoli (e di mio padre)






Avevamo, nel cortile di casa, rose bellissime, rosse (una aveva sfumature così scure da richiamare il nero), gialle (una con bordi rossastri), screziate, ma quella è rimasta nella mia mente come la rosa perfetta. Incantava il suo rosa-viola-lilla che, da quelle parti nessuno aveva ancora (né avrebbe mai più) visto, o stelo lungo: il bocciolo elegante, i petali di seta vellutata, il profumo degno della bellezza estrema del colore, il senso di blu che lasciava negli occhi.

Tutte rose dei fratelli Ingegnoli che mio padre ritirava da Milano, insieme a sementi di ortaggi, verdure, legumi per il giardino, dopo aver a lungo consultato il catalogo che periodicamente arrivava a casa, nell'estrema Calabria.

Poi, come accade per molte cose (belle o brutte), anche questa familiare abitudine si è dissolta nel tempo e le rose sono quasi del tutto scomparse dal cortile, quasi un lusso impossibile.

Ma oggi – sarà perché è giorno di Rita, santa della spina e della rosa – mi sento sommersa da tutte quelle rose, dai loro profumi e colori e mi tornano in mente storie (quella di Rilke e della mendicante, per esempio) che hanno al centro le rose.

Ho un ricordo vago ed impreciso di una discussione avvenuta, qualche anno fa, in una chiesa napoletana, tra una signora che voleva benedetto un mazzo di rose e il prete che glielo negò in quanto richiesta più che di valore religioso di una sorta di magica, superstiziosa, protezione.

Resto convinta che il prete, un sant’uomo degno di massima stima, avesse ragione. 

Ma, oggi, ad una benedizione delle rose ci andrei: per l’esigenza di respirare (anche con gli occhi, con la mente) una mezzora di bellezza pura.

(Le rose non sono il mio fiore preferito; addirittura, molte, viste dai fiorai, mi danno un senso fastidioso di artificiale, di falso)

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