venerdì 28 agosto 2015

Che bello il Breve trattato sulle coincidenze di D. Dara






È di un calabrese e racconta della Calabria anni sessanta uno dei (pochissimi) bei libri italiani che ho letto quest’anno. Questa la mia recensione su Zoomsud: http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/83646-recensione-breve-trattato-sulle-coincidenze-di-domenico-dara.html

«Il postino del paese era un uomo solitario, senza ambizione, che alla passione per i pensieri astrusi univa quella per le lettere d’amore. Le riconosceva senza aprirle, come se portassero impresso sulla busta l’impronta degli amanti. Ne aveva viste d’ogni tipo: eleganti, posticce, scritte dietro un volantino di campagna elettorale e su pezzi di carta igienica, sull’ultima pagina strappata di un romanzo o sulla carta del pane ancora sporca di farina. Le lettere d’amore che fanno diventare tutti poeti e che non fanno dormire, le lettere d’amore magiche che ripetono le stesse cose ma sempre con parole diverse, cesellate con cura come se l’imperfezione d’una lettera fosse più temibile del più temibile rivale. Le lettere d’amore che apriva più delicatamente, per ultime…»

Siamo nel 1969, l’anno dei primi passi umani sulla luna, ma a Girifalco – uno dei tanti luoghi ai margini di quella che, sola, appare come “La Storia” – l’arrivo di una lettera è ancora un evento carico di attese: «Si potrebbe scrivere un libro su come le persone aspettano i postini, e coglierne, dai modi dell’attesa, lo stato d’animo, le sensazioni, i pensieri. Nascondersi dietro i vetri con discrezione, per vedere senza essere visti, è tipico delle persone macerate da un dolore profondo, che hanno paura di esporsi […] A tutt’altra razza appartengono le persone che non hanno paura delle sconfitte e che anzi, il dolore, lo portano con orgoglio, come un trofeo. Aspettano il postino sedute sui gradini per ricevere la lettera in mano e aprirla subito […] Ci sono infine i baldanzosi, che le disgrazie non le attendono ma ci vanno incontro, senza timore.»

Il postino di Girifalco – protagonista del bel romanzo d’esordio di Domenico Dara (nato a Catanzaro nel 1971, vive e lavora tra Como e Milano) Breve trattato sulle coincidenze, premio Calvino 2013, pubblicato l’anno successivo da Nutrimenti – le lettere non solo le porta, ma le apre e le ricopia con la sua grafia capace di riprodurre quella degli effettivi autori delle missive. La sua casa solitaria è l’archivio di «un campionario di sentimenti umani: sogni irrealizzati, desideri inconfessati, promesse ritrattate, dichiarazioni sussurrate, ingiurie, ricordi, nostalgie, speranze: parole scritte in solitudine che attraverso di lui chicàvanu a destinazione, ed egli si inorgogliva di essere la fase finale e decisiva del compiersi di un destino…».

La vita, più che viverla, il postino la guarda, osservando le coincidenze, che mano mano, a starci attenti, svelano il senso dei fatti, e, soprattutto, la legge nelle parole scritte da altri. Rimane sempre fuori dalle vicende che vi si narrano finché una lettera che evoca un’altra lettera – quella che ha segnato la sua vita – lo porta ad intervenire direttamente in alcune storie dei compaesani, per nascondere a una madre la morte del figlio emigrato, per evitare che la passione giovanile possa distruggere la famiglia della maturità, per impedire che il bosco diventi discarica per i loschi interessi di alcuni politici.

Breve trattato sulle coincidenze, quasi una favola sui toni del realismo magico, e, in qualche modo, anche (nonostante l’età del protagonista non sia adolescenziale) romanzo di formazione: perché il protagonista acquisisce, via via, consapevolezza del senso della propria scelta di nascondimento non come frutto di una sorta di incapacità ma come assunzione di responsabilità rispetto alla realtà.

Notevole la lingua: il dialetto non è qui un vezzo, una moda, non è aggiunto e neppure mescolato alla lingua: è colore, odore, sapore, carne e sangue dell’italiano.

Una bella storia, una bella lingua, un protagonista difficile da dimenticare, tantissimi personaggi ben cesellati. Un libro profondamente calabrese, che non parla di ‘ndrangheta, non fa analisi sociologiche, non dà messaggi politici: semplicemente racconta una storia (tante storie) di solitudine e di parole (che possono, se non superarla, renderla meno triste, più dolce).

Ne potrebbe venir fuori un gran bel film.

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