domenica 8 novembre 2015

Com'è difficile insegnare







In un fondo del 6 novembre sul Corriere della Sera, Galli della Loggia ribadisce alcuni concetti sulla scuola, che ha già espresso in altre circostanze. In sintesi: la scuola italiana ha perso da decenni, in larghissima misura, la sua capacità di “dare regole” e, in larga parte, anche quella di insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Il fallimento della scuola, frutto malefico di un lassismo generale, è tanto più grave in quanto la scuola stessa, in un contesto segnato da crisi della famiglia, debole capacità attrattiva della Chiesa e fine del servizio militare obbligatoria, è, di fatto, l’unica agenzia educativa del paese. Il suo fallimento ha dunque una ricaduta immediata sul paese stesso in cui, sotto gli occhi di tutti, l’illegalità si estende e l’ignoranza cresce.

La scuola italiana – che in alcuni territori è l’unico presidio di legalità, l’unica avamposto dello Stato – è oberata da compiti che schiaccerebbero legioni di giganti. Deve essere accogliente, farsi carico di tutte le problematiche (psicologiche, familiari) della crescita nonché di tutti i problemi sociali che sulla crescita incidono spesso pesantemente. Deve far acquisire competenze di cittadinanza in contesti in cui gli esempi che vengono dagli uomini delle istituzioni non sono meno deprimenti di quelli che vengono da chi è ai margini o fuori dalle leggi. Deve far acquisire competenze cognitive, la cui lista appare, a vederla da certi contesti social-culturali, come la declinazione del termine utopia. Il tutto mentre riempie carte su carte (la burocrazia didattica italiana, oltre ogni altra considerazione, è colpevole della distruzione di milioni di alberi), s’affanna a inseguire progetti di ogni genere, corre, corre senza centrare quasi mai il punto essenziale: di tutto l’enorme patrimonio culturale accumulato nei secoli, oggi, nell’era della globalizzazione e dell’informazione digitale, che cosa è davvero essenziale trasmettere e come?

Insegnare è diventato un mestiere difficilissimo: non solo (e, forse, non tanto) bisogna essere esperte nella propria disciplina, ma avere altissime competenze psicologiche, una infinita capacità relazionale (ragazzi, colleghi, famiglie), districarsi in una serie di normative che fanno concorrenza alle grida di manzoniana memoria, avere una buona dose di coraggio per non farsi sopraffare da famiglie e ragazzi in esponenziale crescita di maleducazione e peggio, avere una notevole resistenza allo stress (le continue, quotidiane sconfitte sul piano educativo, il carico extradidattico che rischia di soffocare le energie per la didattica ecc. ecc.).

Ho parlato di esperte perché la scuola di base italiana è sostanzialmente una scuola materna, nel senso che è una scuola ad amplissima conduzione femminile. Mestiere socialmente poco apprezzato ed economicamente poco remunerato, il maestro e il professore delle medie è praticamente scomparso, o quasi, dalle nostre aule. E che, negli anni formativi della scuola, non ci siano padri  non è una buona cosa.

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