mercoledì 1 giugno 2016

A me Gomorra piace. E tanto







Arrivati ormai all’ottavo episodio, non ho dubbi che la seconda stagione di Gomorra la serie mi piace almeno quanto la prima.

Di solito, non reggo più di qualche minuto spettacoli in cui il sangue scorre come acqua, ma mi dispiacerebbe non vedere Gomorra. Perché è scritto bene, è girato bene, è recitato bene. Perché fa una scelta narrativa chiara – raccontare il male dalla parte del male – e lo fa senza infingimenti: in maniera cruda, spietata: morale, senza moralismi. E' capace di raccontare personaggi dalle psicologie più sfaccettate rispetto alla ripetitività dei loro crimini. E' uno spettacolo avvincente e mi da spunti di riflessione sulla realtà.

I ragazzi di Nisida, con cui ho lungamente discusso sulle ricadute della fiction sull’atteggiamento dei più giovani, mi hanno più volte ripetuto che: 

-          a loro la fiction (che tutti loro aspettano di vedere appena arriverà sulla tv pubblica, su cui hanno seguito la prima stagione) non dice nulla di nuovo rispetto a cose che conoscono, che hanno vissuto, anche se in maniera indiretta (fanno delle comparazioni tra i personaggi della fiction e persone reali, esponenti più o meno di rilievo della camorra);

-          ma, per “quelli più piccoli” è “uno spettacolo negativo; i ragazzini vedono e si atteggiano, si vestono come Genny e pensano di potersi comportare pure loro così” (e, qualcuno aggiunge che lo spettacolo è negativo anche in termini di immagine della città: “noi già stiamo inguaiati, e così all’estero più pensano che siamo inguaiati”).

Posizione, quest’ultima, non diversa da quella dei tanti (compresi alcuni magistrati) che hanno denunciato il carattere antieducativo della fiction. 

Ma Gomorra è davvero antieducativa?

Non lo è, certamente, per chi, quando e più vede il male, più auspica e cerca il bene: e si pone, magari, domande su come la società possa uscire da meccanismi che coinvolgono una parte della propria città (ma, anche, del proprio paese e del mondo intero).

Lo è per chi (solo talvolta per la giovane età) non ha sufficienti strumenti di lettura della fiction, e, in generale, del rapporto tra realtà e finzione. Che è, di solito, lo stesso che non ha sufficienti strumenti di lettura di quanto la tv manda in onda (comprese trasmissioni decisamente antieducative in cui non passa alcuna immagine formalmente violenta, ma che inoculano dosi massicce di volgarità, che non migliorano di certo la qualità della vita della collettività).

Il problema non è Gomorra – che potrebbe, addirittura, avere la funzione opposta, quella educativa spingendo ad odiare il male (come sono tristi, questi eroi malefici che cadono come birilli uno dopo l’altro, in che abiti inumani si costringono a vivere) e ad agire per cambiare le tante cose che vanno cambiate (le lividi immagini della periferia napoletana sono di per sé un urlo contro il degrado di certi luoghi).

Il problema, piuttosto, è una sorta di deficit culturale e, più in generale, di una insufficiente attenzione ai tempi e ai modi del crescere. Che fa sì che anche i bambini piccoli, a causa dell’indifferenza delle loro famiglie, vengano esposti a visioni che, per contenuti ed immagini, non sono adatte ad un pubblico facilmente impressionabile (bambini lasciati per strada in ore in cui si presume che, a una certa età, sarebbe più opportuno stare a casa).

Qualcosa potrebbe fare la scuola, anche durante la prevista apertura estiva, con dei brevi corsi di lettura cinematografica e televisiva.

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