mercoledì 20 luglio 2016

MIcrostorie: La badante seconda







“Non s’è ancora svegliata, signora Anna. Forse perché ieri ha parlato tutto il giorno e voleva alzarsi, diceva che c’erano tante cose da sbrigare. Da un po’ fa così. Un giorno parla, parla e il giorno dopo dorme, dorme”. 

“Aspetto un po’, Zhena, vediamo se nonnina si sveglia”.

Quando tornava al paese per la vacanze estive, Anna passava a trovare la prozia almeno due volte la settimana. Sorella di suo nonno, ormai vecchissima, era l’unica parente stretta che le era rimasta. Zhena era la badante seconda, stava lì da una decina di mesi come aiuto della badante principale, Agneszkia, che ormai da anni era la vera padrona di casa. 

“Venite di là che vi faccio un caffè”. 

La cucina era piccola e linda. Le tapparelle abbassate smorzavano la luce, dando un senso di intimità.
Zhena era snella e aveva mani eleganti, gli occhi azzurri e i capelli di un biondo slavato. Il suo italiano era buono – aveva superato gli esami della prefettura con il massimo e ne era orgogliosa – e il tono della voce dolce. Portava un vestitino blu appena svasato; la scollatura metteva in evidenza seni morbidi e tondeggianti.

“Com’è che sei finita qui?” Chiese Anna.

“Qui, dalla nonnina?”

“No, qui, in questo paese.”

“Ah, sono quindici anni che sto in Italia. Sono venuta come turista a casa di una mia cugina a I… e tre giorni dopo già lavoravo. Sono stata un anno e mezzo da una signora, non conoscevo la lingua, mi sembrava di uscire pazza. Ma ho resistito, la mia famiglia in Ucraina aveva bisogno di soldi. Poi mi sono trasferita a S., da un’altra cugina. Ho lavorato da un’altra signora, molto buona, mi voleva mettere a posto, ma aveva solo i soldi della pensione, mi ha proposto di pagarmi io le marche, ma io non potevo, dovevo mandare i soldi al paese. A casa della signora frequentavano persone per bene, un avvocato mi portò a R. da sua madre, sono stata con lei per due anni, finché la signora è morta. In quella casa ho conosciuto mio marito, è italiano. Fa l’idraulico, era venuto ad aggiustare il lavello della cucina, ci siamo conosciuti così. Lui voleva che andassi a vivere con lui, io non mi fidavo: e se poi mi lasciava? Ma undici anni fa ci siamo sposati e siamo venuti a vivere in questo paese. Prima ho lavorato dalla famiglia S., sapete quella vicina alla chiesa vecchia fino a quando la nonna è morta, poi dalla famiglia N., vicino alla stazione, quando la nonna è morta sono stata d., quelli della pescheria, una cosa terribile, la signora era giovane e malata, lei soffriva di tumore e io andavo continuamente dal medico perché mi pareva di essere piena di dolori anch’io. E poi sono stata dal signor L., che mi è morto tra le braccia, mentre gli davo il primo cucchiaio di pastina.”

“…Na…Na”. 

La voce che chiamava era flebile, ma insistente.

“Vengo subito, nonnina”.

La vecchia signora, piccola nel letto matrimoniale, la camicia da notte bianca che si confondeva col lenzuolo bianco, sorrise vedendo Anna.

“Nonnina, ti preparo subito la colazione”, disse Zhena, andando verso la cucina.

Anna rimase seduta accanto alla prozia finché Zhena tornò con una zuppa di latte e biscotti.

“S’è fatto tardi, devo andare. Passo un altro giorno a salutarti”.

Tornò a casa camminando in fretta, con un groppo in gola.

Desiderò che Zhena si pensasse non come dolce accompagnatrice alla morte, ma come una che alla morte provava a strappare giorni, o almeno ore. Finché possibile.

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