giovedì 4 agosto 2016

Si può tornare indietro di Ada Murolo






“Era tornata a Trieste perché ne aveva nostalgia: i suoi palazzi, le industriose botteghe, persino il tanfo di birra e di crauti e di cren agli angoli di vie nascoste e nei cantoni della Città Vecchia, l’azzurrognolo del cielo senza orizzonte, colluso con la chiara vastità della marina che penetrava fin dentro alla città, dentro gli arcani caffè, velava le facciate e acquerellava le cupole di cilestino, e poi il blu profondo di alcune luminose mattine di bora.”

Da reggina (come sono) innamorata di Trieste (città che non ho mai visto, ma che amo appassionatamente, un amore storico e letterario, scoppiato alle elementari sui versi di Saba e poi cresciuto sulle pagine dei vari autori che l’hanno raccontata) non potevo che leggere d’un fiato Si può tornare indietro di Ada Murolo, appena pubblicato da Astoria.

L’autrice, ex insegnante, nata a Reggio (qualche anno fa ha pubblicato Il mare di Palizzi), e vissuta lunghi anni a Trieste, costruisce la sua storia intorno ad una data storica, quel 4 novembre del 1954 in cui Trieste festeggiò in piazza il suo ritorno all’Italia: “Quella giornata, che custodiva in seno il tempo sospeso di migliaia di vite, dunque sembrava allentarsi e sgretolarsi per liberarne di nuovo il corso e, mentre nell’aria risuonava ancora, flebile ormai, l’eco eroica della speranza collettiva, riprendevano il cammino interrotto i pensieri mediocri e quotidiani di ognuno, liberati dalle maglie di quell’illusoria felicità nuova.”

Le due amiche tanto diverse da loro, la timida, biondo-slavata Alina, figlia di una benestante famiglia ebrea e la mora, affamata d’amore Berta, figlia di un alcolizzato e di una domestica, separate dalle vicende storiche e dalle scelte di vita – la prima, unica sopravvissuta della sua casa ai campi di sterminio, fuoruscita dalla clinica psichiatrica in cui è rinchiusa e la seconda, scappata, con due figlie piccole, dalla Romagna contadina, dove aveva seguito, da moglie, il bel soldato conosciuto quando era di stanza a Trieste – si rivedono nella straripante piazza della festa.

Gli orecchini di Nora, la madre di Alina, che si intravvedono oltre i capelli sciolti di Berta sono la scintilla da cui, in un lungo flashback cha alterna personaggi e tempi, si dipanano le vicende che hanno portato fin lì le due amiche d’infanzia. Il ritrovarsi è come un possibile riinizio per entrambe, nonostante le ferite che ognuna di loro si porta dentro: la fiducia nella forza intrinseca della vita di cercare, sempre e comunque, altra vita che il titolo, senza punto interrogativo, sottolinea.

Libro non del tutto perfetto (soprattutto per lo scemare del ritmo nel finale), Si può tornare indietro è un testo vivo e di felice lettura per lo stile classico, fluente senza orpelli, la descrizione di due protagoniste vere e di altrettanto veri comprimari (in particolare la moglie del sarto e lo squallido Italo che, in momenti diversi della vita, fa male prima ad Alina e poi a Berta), l’uso vivace del triestino, il naturale intessersi delle storie personali nella Storia generale, la descrizione, innamorata, di Trieste, del suo mare e della sua “coroncina di alture”, della bora, delle piazze, dei caffè, dei canali, dei negozi, dei moli e delle rive, del suo cielo e della sua aria.

Un libro che è impossibile leggere, senza desiderare di andare a conoscerla, Trieste, percorrendola tutta intera e respirandola a pieni polmoni.

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