domenica 7 agosto 2016

Vita da preti




 
Don Tonino, parroco di Santa Maria del Lume di Pellaro

Nei miei ricordi, don Demetrio era già anziano. Piuttosto massiccio, la pancia che tendeva la tonaca, il colletto della veste sbottonato, don Demetrio non era particolarmente colto. Da grande sentii qualche chiacchiera su di lui, ma non me ne sono mai occupata. Ha due grandi meriti: quello di essere riuscito, elemosinando a destra e a manca, a costruire la chiesa nuova e quello di dare a noi che crescevamo uno spazio che, a pensarci adesso, sembra davvero impossibile in una piccola parrocchia d’una periferia calabrese. Noi giovani gestivamo un giornalino, organizzavamo spettacoli di beneficenza (riuscimmo a raccogliere una gran bella cifra per il Biafra), se ne veniva con noi per le Pasquette. Le sue messe di mezzanotte, a Natale e a Pasqua, iniziavano intorno alle ventuno e non ho mai più rivisto i riti della notte di Pasqua, soprattutto l’accensione del fuoco, di così intensa bellezza.

Ad Assisi, appena diplomata, ad un convegno conobbi tanti futuri preti, molti dei quali si preparavano ad andare in missione in Africa. Con padre Riccardo ho mantenuto una fitta corrispondenza per anni. Non so più cosa ne è di loro.

Monsignor Giuseppe, poi vescovo in Calabria, era una personalità a Reggio. Allegro, gli occhi sempre sorridenti, ironico, circondato da moltissime persone che lo consideravano un imprescindibile riferimento spirituale e di vita, animava tantissime attività ma aveva sempre tempo per tutti. Le sue omelie e la sua lectio erano affacci da batticuore sull’ultraterreno.

Padre Giusto aveva, nello sguardo e nei gesti, un’autorevolezza che imponeva a chiunque di trattarlo con un di più di rispetto. La sua passione per Cristo era assoluta, la sua cultura, religiosa e non solo, grande (le sue lectio avrebbero meritato di essere tutte riprese in volume), la sua attenzione si concentrava soprattutto su tre punti: la pastorale familiare (i corsi per fidanzati da lui organizzati sono ben antecedenti a quelli poi diventati di norma), la costruzione di una comunità che operasse come tale (da cui, anche, un’infinità di giornate comunitarie, pranzi, cene e gite in comune), la visione profetica (fu tra i creatori dei primi organismi di volontariato internazionale). La sua statura morale, la sua integrità erano di tutta evidenza. Colpiva, in tanta grandezza, una fragilità emozionale che, col tempo si accentuò: lui non faceva male a nessuno, ma chiunque poteva fargliene tanto, con una parola o un gesto di troppo.

Padre Paolo è stato il primo cappellano di Nisida, quando nel carcere minorile non c’era una cappella e le prime celebrazioni avvenivano, dove si poteva, nelle aule scolastiche, nel refettorio. Le prime Prime Comunioni, le prime Cresime le ha preparate lui. Condividiamo un battesimo: lui come ministro, io come madrina. 

Anche don Giovanni l’ho conosciuto da anziano. Un uomo che aveva già passato lunghi anni a riflettere sui testi biblici e parlava filtrando le parole attraverso una sapienza rigorosa e mite. Un uomo di grande discrezione, che nascondeva anche a se stesso la sua levatura morale e intellettuale, la sua silenziosa capacità d’amare e davanti a cui era impossibile non avvertire che cosa eccezionale sia una persona davvero libera.

Don Fabio, parroco a Quarto e cappellano di Nisida


Sono solo alcuni dei tanti preti alcuni (almeno nel giudizio possibile dall’esterno) banali, altri eccezionali, che ho conosciuto nella mia vita,

Mi stupisce che così pochi scrittori dedichino spazio alle loro vite, alle loro storie. Non solo la vita di un prete, ma già la sua scelta di diventarlo – soprattutto in tempi e luoghi come i nostri – sarebbe degna di racconti e romanzi.

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