domenica 30 ottobre 2016

Il terremoto infinito







La messa era cominciata da poco ed io ero concentrata sulle letture del giorno, quando ho sentito una signora, al primo banco, dire con tono autorevole: “… siamo in chiesa”. Ho pensato che volesse scacciare qualche disturbatore, ma, alzando gli occhi, ho visto i sei grandi lampadari delle navate laterali oscillare forte.

Movimento inequivocabile. Tra le due-tre cose che più ricordo del terremoto del’80, è proprio l’oscillazione dei grandi lampadari del San Carlo dove mi trovavo per un concerto.

Nessuno, esclusa una signora anziana che chissà quale problema aveva a casa, si è mosso ( “non muovetevi”, era quello che voleva dire la prima signora con il suo “…siamo in chiesa”). Compreso chi, come me, stava quasi sotto i lampadari, che hanno continuato ad oscillare per quaranta minuti abbondanti.

Segno che la scossa, per chi c’era vicino, doveva essere stata violenta, sconvolgente.

All’uscita della chiesa, ho provato a vedere sul cellulare che cosa e dove fosse successo.

Ed è cresciuto il dolore per tutte le persone coinvolte, per le case distrutte, per i tanti segni della nostra antica civiltà diventate polvere e detriti.

Ancora non riesco a guardare la cattedrale di Norcia in rovine.

Qualche giorno fa, il card. Ravasi aveva opportunamente citato (e prima dell’infausta affermazione del viceministro israeliano) una frase di 1, Re, 19, 11: “…. ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.”

Ha ormai superato il livello d’evidenza che l’Italia ha urgentemente bisogno di un grande progetto – una sorta di new deal – di messa in sicurezza del suo territorio.

Compito tra i primissimi che toccano al nostro tempo e per il quale sarebbe auspicabile una serietà e un’unità d’intenti che non si vede molto in giro.

Ma chi crede (e, possibilmente anche chi non crede) preghi. Ce n’è bisogno. Per coniugare la consapevolezza del nostro essere niente (in una frazione di secondo possiamo sparire noi e, insieme a noi, secoli di storia) con la necessità di operare al massimo delle nostre capacità come se tutto fosse nelle nostre mani.

mercoledì 26 ottobre 2016

Solitudine





 
La solitudine dell’alba, quando
ancora il nuovo giorno è una pagina
bianca. La solitudine della sera,
quando la pagina arriva alla fine.

Più difficile, senza la prima, sarebbe
affrontare il mare aperto dei giorni.
Priva della seconda, non ci sarebbe
il balsamo che ricuce le ferite delle ore.

Nella conchiglia di queste solitudini
– preghiera del mattino e della sera –
il tempo che passa si fa la mia storia.

martedì 25 ottobre 2016

Da Goro a Platì: l'importanza dei pastori








Cosa diranno i parroci di Goro, Gorino e dintorni nell’omelia della prossima domenica? 

(Il Vangelo sarà quello del peccatore Zaccheo che, pentito, dichiara che darà «la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»).

Mentre un nugolo di abitanti del ferrarese – molto probabilmente cattolici, battezzati e sposati in chiesa – ha negato l’ospitalità a un gruppetto di profughi, 12 donne, di cui una incinta e 8 bambini, in Calabria, a Platì, un parroco presentava un ricorso contro la decisione di evitare i funerali pubblici a un presunto boss di ‘ndrangheta.

Si tratta di due avvenimenti profondamente diversi, qui legati da una domanda: quanto contano i pastori d’anime in un tempo così complesso?

Naturalmente – anche quando vengono ascoltati – non è che, ad un pastore santo corrisponda un santo gregge, ma avere dei parroci saggi è una gran cosa (soprattutto quando il gregge è refrattario e difficile da educare).

Quello di Platì non mi sembra all’altezza del compito. 

In Calabria – nella quotidiana realtà, non nei documenti, magari molto belli – ci sono ancora parrocchie che continuano a chiudere gli occhi di fronte alla ‘ndrangheta, a inchinarsi di fronte a suoi uomini.

E questo fa male, molto, sia alla Chiesa che alla società.