mercoledì 25 gennaio 2017

Silence/2









Ancora intorno a Silence

È un ottimo film, Silence, ma non è un capolavoro. Nonostante gli anni cui ci ha lavorato, Scorsese non è riuscito, questa volta, come pure ha ottenuto tante altre volte, di esprimersi in una forma perfetta. Perché questo è un capolavoro, letterario o cinematografico: che il contenuto sia lieto o triste, morale o immorale, rasserenante o raccapricciante, deve trovare espressione in una forma perfetta: guanto e mano devono diventare un’unica, indivisibile, cosa.

Ma, oltre l’indubbio valore estetico, Silence ha il merito, straordinario, di far pensare e, quello, rarissimo in quest’epoca, di porre al centro della sua riflessione, la fede religiosa e, in specie, il senso del dirsi cristiani.

Scorsese rende omaggio ai poveri pescatori giapponesi del Seicento che muoiono per non tradire il loro credo – Cristi in croce sbattuti dalle onde fino ad una fine crudele – ma sembra voler far passare il messaggio che, almeno in certe circostanze e all’interno di alcune culture, il riferimento a Cristo deve restare all’interno delle coscienze, custodito nella profondità dell’intimo come in un inviolabile sepolcro.

In ben altre circostanze, in una delle lettere dalla prigionia, Bonhoeffer scriveva che, in una chiesa diventata «incapace di farsi portatrice della Parola riconciliatrice e redentrice per gli uomini e per il mondo (…) le parole antiche devono svigorirsi e ammutolire e il nostro essere cristiani si riduce oggi a due cose: pregare e operare tra gli uomini secondo giustizia. Ogni pensiero, parola, organizzazione nelle cose del cristianesimo, dovrà rinascere da questa preghiera e da questa azione. (…) Non sta a noi predire il giorno – ma il giorno verrà – in cui gli uomini saranno chiamati a pronunciare la Parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà trasformato e rinnovato. Sarà un linguaggio nuovo, probabilmente un linguaggio del tutto non religioso, ma liberatore e redentore, come quello del Cristo.»

Nel film di Scorsese, padre Rodriguez rinnega la sua fede, convinto di fare così il suo supremo sacrificio da credente per salvare la vita ad altre persone e poi, per anni, non manifesta alcun riferimento religioso se non buddista. Ormai cadavere, riappare nel suo grembo, in un’aurea di luce calda, un piccolo crocefisso, come se, in realtà, il suo annoso silenzio (specchio del silenzio di Dio) nascondesse un intimo colloquio con Cristo.

Ma la mancanza di tensione tra l’impossibilità e la necessità (necessità del desiderio) di pronunciare il nome del Dio cristiano (mi) lascia un senso di inquieta incompiutezza.

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