venerdì 17 febbraio 2017

Portami rispetto di V. Gallico: le mie recensioni per Zoomsud



  






 «Quanta forza ha una parola? E quanta ne hanno molte, messe insieme a formare una frase? O un articolo di giornale? Le parole hanno così tanta forza da restituirmi la salute dell’uomo che amo? Me lo ridaranno sano e salvo? Mi riportano indietro nel tempo alla settimana scorsa? Perché io fino a quattro giorni fa mi occupavo unicamente di sport e scrivevo parole di sport. Guardavo partite di calcio, gare di ciclismo, tornei di basket, meeting di atletica leggera e vivevo un’esistenza tranquilla. Oggi apprendo dalle maggiori testate nazionali che sono in pericolo, che la ‘ndrangheta mi minaccia. Ieri è stata bruciata la macchina che i miei genitori mi avevano regalato per la laurea ed è stata gravemente ferita la persona di cui sono innamorata. Nel punto in cui è avvenuto l’attentato ai mei danni sono stati ritrovati i corpi morti di Rocco Papalia e Alberto Corsaro, due esponenti della ‘ndrina di Don Peppe Parisi. Avevo citato questo nome in un precedente articolo che Roberto Saviano ha avuto la bontà di commentare. Devo dedurne che ho subìto la punizione che spetta a chi si prende il “rischio” di nominare un capetto mafioso. Tanta forza hanno dunque le parole! Potessi tornare indietro, non scriverei più quell’articolo e chiederei di vivere senza avere a che fare con dei criminali. Ma siccome non posso tornare indietro, mi tocca affrontare la mia drammatica situazione. È l’unico modo che ho per difendermi è usarle di nuovo, le mie parole. (…) Questo pomeriggio ho avuto la fortissima tentazione di non mollare, di non digitare più neanche mezza parola su una tastiera, poi ho capito che così sarei morta. Che le parole potevano salvarmi. Salvare me e tutti noi altri che abitiamo in questa terra in mano a pochi delinquenti. Vorrei che le parole avessero davvero la forza per scacciarli via. Che bastasse un urlo: ANDATEVENE! »

Concetta – Tina – Romeo, giovane giornalista di una testata reggina, si occupa di sport e non ha alcuna particolare vocazione al martirio. Ma, nel post ferragosto del 2009, quando alcuni colleghi sono in ferie e agli altri tocca trasformarsi in tuttologi, si trova a seguire un fatto di cronaca, l’incendio in un bosco nei pressi di Agatea, in Aspromonte. Si trova così, inaspettatamente, al centro di uno scontro tra due clan ‘ndranghetisti, guidati rispettivamente da don Peppe Parisi e da don Rocco Stillitano.

Nonostante subisca attentati, che portano, tra l’altro, al coma del suo amante, alla morte di un collega, e alla scorta informale dell’ispettore di polizia Modafferi e dei suoi uomini, sceglie di raccontare la verità: non quella “ufficiale”, bensì quella “effettiva”, imperfetta e contraddittoria, man man che le si rivela.

Quando, a conclusione della vicenda, un uomo a lei sconosciuto le porge un regalo in segno di rispetto, prova a respingerlo: «Il rispetto è roba per altra gente. Penso che stia sbagliando persona.» Ma si sente rispondere: «No, no, è a lei che lo porto. Vede, c’è il rispetto per il potere e c’è il rispetto per il coraggio. Il potere senza coraggio non è niente… Ma a volte anche il coraggio senza potere. Lei in questi giorni ha dimostrato molto coraggio. Gente come lei merita rispetto… e io gliene porto parecchio.»
 
Elemento cardine di una certa cultura del Sud, il rispetto entra anche nel titolo del primo libro di Vins Gallico. Reggino di nascita, Vins Gallico, che nel 2015 è stato tra i candidati allo Strega con Final cut, ha, infatti, esordito, nel 2010, con Portami rispetto (Rizzoli editore): tra i più interessanti e moderni dei romanzi calabresi contemporanei: stupisce, immergendosi nelle sue quasi seicento pagine, che non se ne sia tratta una fiction di successo.

Protagonista è la ‘ndrangheta, nelle sue molteplici sfaccettature: quella ancora arcaico-contadina; la manovalanza, adusa a qualsiasi violenza; quella che rimpiange i bei tempi andati: «Adesso una femmina poteva permettersi il lusso di imparare a leggere e scrivere, non le bastava più compiere soltanto i propri doveri naturali: badare alla casa, preparare da mangiare, crescere i figli da buona madre e fottere con il marito. Che brutta deriva aveva preso il mondo. Prima tutto era diverso, era semplicemente meglio.» Quella che tratta con i servizi segreti, gestisce grossi affari, sa di lettere e internet: «Don Rocco Stillitani teneva sul suo comodino Le vite dei Cesari di Svetonio, un’autobiografia di Elias Canetti, il terzo volume della trilogia di Stieg Larsson e un tomo mastodontico che comprendeva tutta la Recherche di Marcel Proust. (…) Aveva appena chiuso la connessione a Internet dopo aver inviato una mail a Giulia, nick name dell’ometto grigio dei Servizi che lui chiamava bonariamente il Commendatore. L’aveva fatto sotto le mentite sposglie di Rosario, un adolescente brufoloso qualsiasi, che usava una lingua deplorevole e giovanilistica. Per questo sentiva il bisogno di un riscatto culturale e morale. (…) Don Rocco guardò l’orologio e decise di mettersi a letto, recitò le sue preghiere e optò per Svetonio. Dormì le solite quattro ore… (…) Già prima delle sette aveva controllato la rassegna stampa, fatto colazione e iniziato a programmare lo sviluppo della discarica in località Agatea.»

Protagonista è anche la città e il suo hinterland, le sue bellezze naturali e le mostruosità che le deturpano (le spiagge distrutte, il mare sporco, gli scheletri di costruzioni mai completate), il suo carattere profondo, le sue abitudini come la passeggiata serale sul Lungomare, le mode assunte durante la fase di Scopelliti sindaco: «Non sono nata in una terra normale. Non si può definire normale una terra come questa. Lo si nota da piccoli particolari. Da come la gente si comporta, da come parcheggia in doppia fila, da come sporca la spiaggia, da come guida sulla 106, da come urla. Da come guarda e considera noi donne. Minuscoli particolari, che indicano il totale disinteresse per la “res pubblica”, i diritti umani e civili, la buona educazione. È una terra di ciechi, di sordi, di conniventi, di assassini.»

Protagonista è la vita in una piccola redazione di provincia, ma anche l’attività della polizia e quella dei servizi segreti.

Protagonista è, soprattutto, il racconto in sé, il suo essere, insieme, thriller, noir, storia sentimentale, racconto di formazione civile, anche drammone ottocentesco (la protagonista è inconsapevole figlia di un boss e nipote d’un altro boss): trama ramificata e linguaggio scorrevole, con un uso dell’italiano e del dialetto fortemente caratterizzante luoghi e personaggi.

Non si tratta di un libro perfettamente compiuto – non sempre l’ampiezza della trama corrisponde ad un approfondimento adeguato di fatti e personaggi – ma Portami rispetto si legge, e si vede, con gran piacere.

Ha detto bene lo stesso Gallico definendo in un’intervista il suo libro come «un voluminoso pageturner mediterraneo. Il mio intento era quello di unire alcune caratteristiche della letteratura di cassetta anglosassone con la tradizione del noir mediterraneo, raccontando però una storia italiana, tristemente e coerentemente incastrata nei processi di corruzione, violenza e ingiustizia che caratterizzano spesso il sud della nazione», ovvero di «unire due mondi letterari, uno fatto di meccanismi narrativi, tempi e tensione (cioè il thriller anglosassone), e l'altro composto di odori, sapori, malinconie (cioè il noir mediterraneo). Che poi, questi incastri, uno non li pianifica, è la storia che te li richiede, è la trama che si porta i personaggi.»

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