mercoledì 18 ottobre 2017

Il gelato di Rosario Villari







L’ultima volta che ho incontrato Rosario Villari è stata nel gennaio del 2011. Mi ricevette nel suo studio romano e parlammo a lungo. Fece un bellissimo schema per la prefazione che gli avevo chiesto per i Racconti per Nisida e l’Unità d’Italia, ma, qualche giorno dopo, mi telefonò per scusarsi: non l’avrebbe scritta. Mi dispiacque non poco, ma, anche in quel caso, non potei che stimare la profonda serietà del suo lavoro. Stava completando – c’erano faldoni di migliaia di fogli che doveva correggere – quello che sarebbe diventato il suo libro-testamento, Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero 1585-1648.

Ho la fortuna non solo d’aver studiato sui suoi manuali e d’aver letto tutti o quasi i suoi testi sulla questione meridionale, ma di poterlo ricordare in tanti incontri, a Reggio, a Messina, nella sua casa romana, al tempo in cui era anche deputato, a casa mia a Pellaro (era un buongustaio, che apprezzava la cucina semplice e saporita di mia madre).

Quest’estate, mettendo in ordine vecchie carte, ho ritrovato un foglio che mi è particolarmente caro: le sue indicazioni su come avrei dovuto lavorare alla mia testi di laurea sull’Uomo qualunque.
Tutte importanti. Due decisive. Uno: Mettere da parte le interpretazioni ideologiche. Due: Nessuna riduzione all’unità, (ma lui lo disse in latino) ovvero rispettare la complessità degli eventi, le sfaccettature dei fatti. 

Io che ero arrivata all’appuntamento al Cordon Bleu abbastanza confusa sul da farsi, ne uscii leggera, come quando si cammina qualche metro sopra la strada, e sicura che avrei scritto un’ottima tesi. Lui era divertito. Mi propose di brindare a champagne. Preferii un gelato: misura grande.

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