domenica 8 ottobre 2017

Microstorie: La gonna bianca





La gonna di piqué bianco a pieghe si gualciva facilmente. Angela percorreva il Corso attenta a farla restare candida e ben stirata. Indossata con la maglietta a fiorellini, la faceva sentire bella. Quasi. Perché, lei, bella non era. Tutta colpa degli occhiali. Ne aveva cambiate di montature, ma nessuna che non le appesantisse il volto, facendola sembrare più grande della sua età.

Di anni, ne aveva diciotto, ma Stanislao gliel’aveva detto: Sembri mia nonna. Anche se, poi, s’era messo a ridere: Scherzo.

Lei, di Stanislao, s’era innamorata subito. Anche se. Non era uno di quelli bravissimi a scuola, non discuteva di politica, non aveva passione per ciò che doveva suscitarla, i libri, il teatro, i film impegnati.

Orfano di padre e madre, l’aveva cresciuto lo zio, professore di latino al liceo classico della città. Di nobile casato, ricco di famiglia, appassionatamente dedito agli studi, Stanislao senior aveva lasciato al nipote la libertà di crescere come voleva. All’amore della letteratura, Stanislao junior preferiva un’indolenza quieta e la ricerca di amicizie e d’un amore che riempissero il vuoto delle grandi stanze rigurgitanti di libri.

Stanislao – dai compagni chiamato Stani – aveva iniziato a frequentare la chiesa vicino al Castello per vedere Floriana, che di Angela era compagna di classe.

Bruna, sottile, i capelli sciolti sulle spalle e gli occhi vivaci, Floriana aveva la bellezza elegante di una donna matura e la freschezza della sua età.

A Stanislao aveva concesso qualche giorno d’attenzione, per educazione, per cortesia, poi ne aveva preso le distanze. Il garbo aveva mascherato, ma non nascosto, che non lo considerava degno di lei.

Era stato in quel periodo – si sentiva un cane bastonato – che Stanislao aveva baciato Angela. S’erano ritrovati in sagrestia, ad aspettare don Luigi che stava confessando. Angela gli aveva dato da parlare, con occhi dolci e sguardo amorevole e a Stanislao s’era annebbiata la vista abbastanza per ingannare se stesso per qualche giorno.

Quando s’erano rivisti, Stanislao le aveva spiegato che lei era troppo studiosa per lui – voleva dire: troppo vecchia, troppo pesante – e le aveva chiesto di intercedere con Floriana. Qualcosa, in fondo alla mente, le diceva che doveva mostrarsi offesa per una richiesta che ne minava la dignità. Ma, nel centro del cuore, le sembrò come una carezza dopo uno schiaffo. Facendo da messaggera, avrebbe ancora potuto stargli accanto, e ricevere, come una mendicante, qualche briciola del suo sguardo.

Aveva parlato con Floriana: Ti vuole bene. L’aveva avvicinata a lui con le parole e con gli occhi l’aveva allontanata: Non gli credere, non è abbastanza per te.

Floriana aveva stretto le spalle: Dopo gli esami, vado via. Mio padre è stato trasferito al Nord. 

Nei giorni degli esami di stato e del boia chi molla, con le barricate sul Corso e i carri armati sul Lungomare, Angela confortò Stanislao.

Ad agosto, come da tradizione, lo zio di Stanislao si trasferì a Gambarie e, per una volta, insistette col nipote perché lo seguisse: Un po’ di montagna ti farà bene.

La prima domenica che avrebbe potuto rivederlo, Angela entrò in chiesa lisciandosi la gonna di piqué bianco. Caterina e Giovanna stavano già distribuendo i libretti dei canti e Adriano, il più bravo del liceo, aveva disposto le sedie per quelli del coro. Stanislao arrivò con una chitarra nuova. Abbronzato e ingrassato, sembrava aver perso un po’ di quell’aria incerta che l’aveva innamorata. Lui era l’unico che non le facesse paura; gli altri, con le loro facce sicure, le mettevano freddo. 

Vado a Londra, come lavapiatti. Zione s’è convinto a lasciarmi partire. Dovrei stare due mesi e tornare per l’inizio dell’Università. Ma chissà, magari resto là.

Con un pizzico d’invidia, i compagni gli fecero festa. Angela stentò un sorriso. La gonna si era stropicciata, ma non contava più.

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